“Se una persona si trova in difficoltà, il modo migliore per aiutarla non è quello di dirle esplicitamente cosa fare, quanto piuttosto di indirizzarla a comprendere la situazione e a gestire il problema facendole prendere, da sola e pienamente, la responsabilità delle proprie scelte e decisioni. Gli individui hanno in sé stessi ampie risorse per auto-comprendersi e per modificare il loro concetto di sé.”
E’ questa, a mio avviso, la rivoluzionaria e straordinaria intuizione di Carl Rogers, psicologo e terapeuta, che tra gli anni ‘50 e ‘60, evidenzia e sostiene che il cliente “ne sa di più”: sa ciò che lo sta facendo soffrire e sa qual’è il passo successivo da compiere; insomma, l’esperto del problema è la persona che ce l’ha.
Rogers chiamò il suo modo di lavorare “counseling non direttivo”, sottolineando come il compito dell’esperto nella relazione di aiuto, sia quello di far entrare il cliente in contatto con le sue stesse risorse, piuttosto che influenzarlo, consigliarlo, sostenerlo nella direzione da prendere. Tutto questo perché le persone sane sono ritenute per natura, capaci di comportarsi in maniera efficace, capaci di darsi degli obiettivi e di raggiungerli.
Il counseling di Carl Rogers è connotato da un forte ottimismo: ogni essere umano ha dentro di sé le condizioni potenziali per una crescita sana e creativa;
ogni condizionamento negativo può essere vinto se l’individuo è disposto ad accettare la responsabilità della propria vita.
ogni condizionamento negativo può essere vinto se l’individuo è disposto ad accettare la responsabilità della propria vita.
Ogni individuo ha perciò una innata tendenza all’autorealizzazione.
E allora, quali caratteristiche deve avere un counselor per agevolare il suo cliente?
Secondo Carl Rogers le persone possono essere capite solamente partendo dalle loro percezioni e dai loro sentimenti, ossia dal loro mondo fenomenologico. Per capire un individuo non è necessario concentrare l’attenzione sugli eventi che egli vive, ma sul modo in cui li vive.
Dunque, il counseling di Carl Rogers suggerisce che i facilitatori, abbiano bisogno di comunicare tre qualità di base affinché la relazione d’aiuto sia efficace ed abbia un esito positivo tanto da ottenere un cambiamento significativo nel cliente.
La prima è l’empatia, cioè la capacità di sperimentare il mondo di un’altra persona come se fosse il proprio, ma senza mai perdere quella qualità del “come se” (vedi il post: Empatia: “mettersi nei panni dell’altro...”).
La seconda qualità di base che Carl Rogers considera essenziale è l’accettazione incondizionata del cliente per quello che è, per la sua unicità ed individualità.
L’ultima qualità che il counselor dovrebbe avere è la congruenza, ossia la capacità di aprirsi spontaneamente nella comunicazione col cliente, in modo da essere sempre autentico nell’esprimersi.
La seconda qualità di base che Carl Rogers considera essenziale è l’accettazione incondizionata del cliente per quello che è, per la sua unicità ed individualità.
L’ultima qualità che il counselor dovrebbe avere è la congruenza, ossia la capacità di aprirsi spontaneamente nella comunicazione col cliente, in modo da essere sempre autentico nell’esprimersi.
Nella persona vi è una forza che ha una direzione fondamentale positiva.
Più l'individuo è capito e accettato profondamente, più tende a lasciar cadere le false "facciate" con cui ha affrontato la vita e più si muove in una direzione positiva, di miglioramento.
grazie mille di voler condividere con noi questi pensieri belli. leggo avidamente =)Lucia
RispondiEliminaGrazie a te Lucia! :-)
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