giovedì 31 gennaio 2013

Movie counseling...

Ho scritto questo post per presentarvi un’altro strumento che mi sta a cuore; utile durante un percorso di counseling, ma da utilizzare anche per comprendersi, per condividere le nostre emozioni o magari per stimolarci a cogliere dei messaggi che molte volte possono essere chiarificatori... 
Questo fantastico strumento è il film.

“Un film è come una metafora che aiuta a comprendere meglio la condizione umana e le problematiche che insorgono lungo il percorso dell’esistenza. Nella visione di un film le persone sono accompagnate a sollecitare ed usare gli effetti psicologici dettati dalla musica, dalle immagini e dalla trama, per incrementare il proprio intuito, le aspirazioni, l’abbandono alle emozioni ed il cambiamento”. (Wolz 2000)


Come un film può essere utile durante un percorso di counseling? 

Per poter essere uno strumento valido, deve poter aiutare il cliente a confrontare stili di vita simili, per poter parlarne negli incontri di counseling, con il fine di elaborare un piano di problem solving e per poter avere assieme al cliente una visione creativa del problema emerso durante il percorso.
Il lavoro che si fa in un percorso di counseling con l’utilizzo del film, riguarda la scoperta dei lati più nascosti del sé, cercando di capire come vengono proiettati i propri aspetti positivi e negativi nei protagonisti della pellicola.
Quando un cliente si identifica con un personaggio lo si può aiutare a comprendere le proprie resistenze interne ed in seguito a riattivare le proprie risorse dimenticate per renderle attive. 
Inoltre, l’utilizzo di questo strumento, stimola gli stati più profondi della coscienza per favorire nuove prospettive e comportamenti più salutari ed adattivi.

Ed ora, ecco dei consigli per la visione di un film:
1. stare seduti molto comodi;
2. concentrarsi su tutti i punti del corpo in cui c’è tensione, utilizzare la respirazione per sciogliere tali tensioni;
3. porsi di fronte al film senza critiche interne o commenti, mettendo da parte giudizi e preoccupazioni;
4. non appena si è calmi e concentrati si può iniziare a guardare un film.

Un suggerimento: la maggior parte delle comprensioni più profonde arrivano in un secondo tempo, perché inizialmente è importante osservare come le immagini, le idee, le conversazioni ed i caratteri del film arrivano ad ognuno a livello sensoriale. E’ fondamentale quindi non analizzare nulla durante la visione ma essere completamente presenti con la propria esperienza.

Solo in seguito si potrebbe riflettere su:
1. la respirazione: per capire se è cambiata durante il film e per capire il motivo per cui è cambiata;
2. i momenti o gli spezzoni della pellicola che possono essere legati in qualche modo a sogni particolari del cliente e quindi al suo mondo simbolico;
3. cosa è piaciuto o non è piaciuto del film, se qualche momento è sembrato più o meno interessante;
4. se c’è stata una identificazione con uno o più personaggi;
5. l’esistenza di personaggi che si vorrebbe emulare e per quale ragione e quali personaggi hanno provocato delle resistenze.

Prima di concludere questo post vorrei consigliarvi un libro di Peske e West: C’è un film per ogni stato d’animo. Questi due studiosi newyorkesi affrontano il tema della cinematerapia in modo divertente, proponendo una lista di film dagli anni trenta ad oggi, da vedere nei momenti di sconforto per lenire ansie, affanni e stati negativi dell’anima. Questi due autori hanno avuto la capacità di affrontare il tema del cinema in modo giocoso, senza appesantimenti da critici cinematografici, dimostrando i benefici sulla vita di tutti i giorni. 


Buona visione a tutti!

lunedì 28 gennaio 2013

Gli specchi della memoria...

In questo post parlerò di fotografia... 
Strumento che mi sta a cuore... che mi fa pensare a due persone presenti e fondamentali nella mia vita: Mattia e Margherita.

Le fotografie contengono sempre storie... Ogni immagine racconta naturalmente la sua storia in modo molto differente, poiché ciò dipende da chi sta inconsciamente traducendo e trasportando in essa il significato mentre la guarda.  I momenti catturati dallo scatto, non solo illustrano il potere che semplici fotografie esprimono nella maggior parte delle vite della gente e dei loro cuori, ma aiutano anche a spiegare la ragione per la quale le fotografie sono così diverse da altre espressioni artistiche mediatiche, specialmente quando vengono usate per l’autoesplorazione. 

Sebbene spesso non ci si rifletta, le fotografie contengono molti più significati di quanto i dettagli contenuti nella loro superficie visuale suggeriscano. 
Perfino le “quotidiane” fotografie sono invisibilmente piene, imbevute di emozioni, speciali segreti, e codici simbolici privati che una persona estranea non potrebbe mai pienamente afferrare. Tutte le foto che le persone scattano e tengono, sia per scopi artistici o semplicemente le proprie comuni foto personali o familiari, sono proprio come “specchi della memoria”, che servono come segnali di quello e di chi è stato più importante, e più tardi come talismani che trattengono lo svanire del tempo che avanza. 

Le persone usano le fotografie per riuscire più tardi ad attribuire un senso a quei momenti. Come impronte delle loro vite, gli scatti personali mostrano non solo da dove le persone vengono (emozionalmente ma anche geograficamente) ma suggeriscono anche in quale realtà potrebbero successivamente trovarsi e tutto ciò  persino quando potrebbero essere non ancora consapevoli a livello conscio. 


La fotografia come “arte” è un’esperienza: le fotografie servono come catalizzatore non verbale per fare uscire fuori sentimenti e memorie a lungo escluse, non considerate. 
Le foto possono essere strumenti potenti nelle mani di coloro che intraprendono un percorso di counseling; la componente artistica nelle fotografie della gente diventa rapidamente irrilevante, quando si comincia a cercare di individuare il significato interno che ogni fotografia evoca quando qualsiasi cliente la osserva, la scatta, posa, la tiene, o perfino quando la ricorda. 
Dal momento che gli scatti personali e gli album di foto sono metafore visuali di un momento reale di “esperienza di vita”, possono essere di valido aiuto ai clienti nel ricordare, confrontare, immaginare, ed esplorare parti di se stessi, delle loro vite, e specialmente dei loro sentimenti. Usare le loro stesse fotografie (o perfino solo le loro reazioni alle immagini di altri) fornisce ai clienti anche un sostegno aggiuntivo nel processo di rapportarsi con pensieri, sentimenti e memorie, ricordi, che spesso sorgono con inaspettata intensità quando le fotografie sono usate come lente di ingrandimento. 
La fotografia nel percorso di counseling aiuta a vedere con occhi nuovi le cose che i clienti hanno sempre visto, ma vedendole in modo differente. 
Permette la percezione dei sentimenti ed il loro ri-collegamento, permette di essere viscerali e cognitivi e permette al passato di diventare presente

Permette alle persone di usare le fotografie come stimoli per sollecitare risposte sia a ciò che è chiaro che all’informazione implicita nell’immagine fotografica, e di precipitare il dialogo che non emergerebbe in tale qualità e profondità se fossero usate solo le parole per esplorare il soggetto.




giovedì 24 gennaio 2013

Congruenza, autenticità... genuinità!


Una delle tre condizioni di base affinché la relazione d’aiuto sia efficace ed abbia un esito positivo, tanto da ottenere un cambiamento significativo nel cliente è la congruenza, che potrebbe anche essere chiamata genuinità, autenticità. 

La congruenza è la corrispondenza fra quello che si pensa e si sente ed il proprio comportamento; essere congruente vuol dire “essere disponibile ai propri sentimenti, essere perciò capace di viverli, di essere in rapporto con loro e di comunicarli, se è opportuno”. (Carl Rogers).
Ma per poter essere congruenti, Rogers sostiene che “qualsiasi  sentimento o atteggiamento io stia sperimentando, dovrà essere accompagnato dalla consapevolezza di esso”.
Si è congruenti, secondo Rogers quanto “nessun sentimento attinente alla relazione, è nascosto a me o all’altra persona”.

Tutto questo, non è per niente semplice... Mi chiedo, vi chiedo: 
“Quanto riusciamo ad ammettere a noi stessi quello che stiamo veramente sentendo?
Quanto accettiamo le nostre esperienze più profonde?
Quanto e con chi ci sentiamo liberi di esprimerci?”


Raramente si è disposti o abituati ad ascoltarsi autenticamente; ma per comunicare congruentemente, in modo autentico, è necessario ascoltarsi consapevolmente, capire ciò che si sta sperimentando, sentendo, vivendo, per arrivare all’autoconsapevolezza e ad una coerenza interna basata sull’ascolto e l’accettazione.  


Per essere congruenti, autentici, dobbiamo diventare sempre più coscienti di quanto stiamo vivendo dentro di noi, dei nostri sentimenti, delle nostre emozioni; dobbiamo accettare di essere quello che siamo e permettere che quel che siamo appaia ad un’altra persona.

Essere ciò che realmente si è” nel rapporto con se stessi e con gli altri e riuscire a percepirsi correttamente è il punto di partenza per instaurare una relazione d’aiuto efficace.

Consapevolezza è cercare di osservare e accettare le tue sensazioni e i tuoi stati emotivi, momento per momento. Jon Kabat Zinn

venerdì 18 gennaio 2013

L'accettazione incondizionata


“L’accettazione positiva incondizionata è una calda accettazione, un affetto altruistico e non possessivo nei confronti dell’altro... un sentimento spontaneo, positivo, senza condizioni o valutazioni.” 

Il counselor dovrebbe accogliere positivamente il cliente e accettarlo senza porre condizioni: rispettandolo per ciò che è e per la sua motivazione al cambiamento, indipendentemente da quello che pensa, dice o fa.

Il counselor dovrebbe avere verso il cliente un atteggiamento di accoglienza che includa calore, positività, interesse e comprensione. Dovrebbe accordargli valore e importanza, in quanto persona; importanza che va oltre la specificità del momento, del comportamento, del modo di porsi e dei sentimenti che esprime.


Il sentimento del counselor verso il cliente deve dunque essere caratterizzato dal rispetto dell’altro in quanto distinto da sè: una persona distinta che non si vuole nè si cerca di possedere, convincere, dominare, conquistare, ma alla quale ci si interessa in modo positivo e incondizionato.

L’accettazione positiva comporta un atteggiamento spontaneo, positivo, senza riserve, caratterizzato dall’assenza di qualsiasi giudizio valutativo. Implica quindi l’accettazione di tutti i sentimenti espressi dal cliente: tanto quelli pieni di paura e di dolore, difensivi o anormali, quanto quelli maturi, fiduciosi, sociali; implica l’accettazione non solo degli aspetti coerenti della personalità del cliente, ma anche dei suoi aspetti incoerenti. Significa quindi accettare il cliente nella sua globalità.

Il counselor dovrebbe creare un contesto in cui il cliente, senza essere giudicato, possa esprimere parti di sè che normalmente non svela, prenderne coscienza ed eventualmente modificarle, tramite una scelta libera e consapevole.
Se il cliente trova uno spazio non giudicante ha la possibilità di esprimere totalmente se stesso. 

L’accettazione e la sospensione del giudizio, facilitano la fiducia.

L’accettazione incondizionata facilita il cambiamento e la riorganizzazione dell’esperienza.


“...il cambiamento ci regala i rami, lasciando a noi la volontà di estenderli e di farli crescere fino a raggiungere nuove altezze" Pauline R. Kezer 

giovedì 17 gennaio 2013

Carl Rogers e il counseling non direttivo

“Se una persona si trova in difficoltà, il modo migliore per aiutarla non è quello di dirle esplicitamente cosa fare, quanto piuttosto di indirizzarla a comprendere la situazione e a gestire il problema facendole prendere, da sola e pienamente, la responsabilità delle proprie scelte e decisioni. Gli individui hanno in sé stessi ampie risorse per auto-comprendersi e per modificare il loro concetto di sé.”  

E’ questa, a mio avviso, la rivoluzionaria e straordinaria intuizione di Carl Rogers, psicologo e terapeuta, che tra gli anni ‘50 e ‘60, evidenzia e sostiene che il cliente “ne sa di più”: sa ciò che lo sta facendo soffrire e sa qual’è il passo successivo da compiere; insomma, l’esperto del problema è la persona che ce l’ha.

Rogers chiamò il suo modo di lavorare “counseling non direttivo”, sottolineando come il compito dell’esperto nella relazione di aiuto, sia quello di far entrare il cliente in contatto con le sue stesse risorse, piuttosto che influenzarlo, consigliarlo, sostenerlo nella direzione da prendere. Tutto questo perché le persone sane sono ritenute per natura, capaci di comportarsi in maniera efficace, capaci di darsi degli obiettivi e di raggiungerli.

Il counseling di Carl Rogers è connotato da un forte ottimismo: ogni essere umano ha dentro di sé le condizioni potenziali per una crescita sana e creativa
ogni condizionamento negativo può essere vinto se l’individuo è disposto ad accettare la responsabilità della propria vita. 
Ogni individuo ha perciò una innata tendenza all’autorealizzazione.


E allora, quali caratteristiche deve avere un counselor per agevolare il suo cliente? 

Secondo Carl Rogers le persone possono essere capite solamente partendo dalle loro percezioni e dai loro sentimenti, ossia dal loro mondo fenomenologico. Per capire un individuo non è necessario concentrare l’attenzione sugli eventi che egli vive, ma sul modo in cui li vive. 

Dunque, il counseling di Carl Rogers suggerisce che i facilitatori, abbiano bisogno di comunicare tre qualità di base affinché la relazione d’aiuto sia efficace ed abbia un esito positivo tanto da ottenere un cambiamento significativo nel cliente.
La prima è l’empatia, cioè la capacità di sperimentare il mondo di un’altra persona come se fosse il proprio, ma senza mai perdere quella qualità del “come se” (vedi il post: Empatia: “mettersi nei panni dell’altro...”). 
La seconda qualità di base che Carl Rogers considera essenziale è l’accettazione incondizionata del cliente per quello che è, per la sua unicità ed individualità. 
L’ultima qualità che il counselor dovrebbe avere è la congruenza, ossia la capacità di aprirsi spontaneamente nella comunicazione col cliente, in modo da essere sempre autentico nell’esprimersi. 


Concludo questo post con una frase di Carl Rogers che mi ha colpita molto:
Nella persona vi è una forza che ha una direzione fondamentale positiva. 
Più l'individuo è capito e accettato profondamente, più tende a lasciar cadere le false "facciate" con cui ha affrontato la vita e più si muove in una direzione positiva, di miglioramento.

lunedì 14 gennaio 2013

Empatia: “mettersi nei panni dell’altro...”

La scelta del nome del mio blog, deriva da una caratteristica fondamentale per fare counseling ed essere counselor: l’empatia.
Il termine empatia deriva dal greco e identifica la capacità personale di "mettersi nei panni degli altri", di calarsi nella loro realtà per comprenderne punti di vista, pensieri, sentimenti ed emozioni. L'empatia è una forma intangibile, silenziosa, ma allo stesso tempo profonda, efficace e potente di comunicazione, che non richiede necessariamente l'uso delle parole per rivelarsi o essere dimostrata: può essere espressa anche attraverso il linguaggio del corpo. L'empatia è un'importante competenza emotiva grazie alla quale è possibile entrare più facilmente in sintonia con la persona con la quale si interagisce.  
L'empatia può essere anche paragonata a un "ponte" invisibile, che permette di entrare in punta di piedi nel mondo dell'altro, di rimanervi il tempo necessario per comprendere motivazioni e intensità del suo vissuto emozionale, per poi ritornare ad essere sé stessi, coerenti con la propria realtà.


L'empatia é un'abilità sociale di fondamentale importanza; rappresenta uno degli strumenti basilari di una comunicazione interpersonale veramente efficace e gratificante, che si verifica quando si è capaci di attraversare il "campo di esperienza" dell’altro, senza alcun pregiudizio, facendo proprie le aspettative di ascolto e di comprensione di chi ci sta di fronte. Nelle relazioni interpersonali l'empatia diventa così la principale e forse unica "chiave di accesso" ai sentimenti, agli stati d'animo, alle motivazioni e più in generale al mondo dell'altro. Grazie ad essa si può non solo afferrare il senso di ciò che afferma l'interlocutore, ma coglierne anche il significato più profondo sintonizzandosi sulla sua stessa "lunghezza d'onda". Questo ci consente di amplificare la valenza del suo messaggio, di coglierne elementi impliciti e spesso non rivelati al di là del contenuto delle parole, e di comprendere la parte veramente significativa del messaggio, espressa dal linguaggio del corpo, che è possibile decodificare proprio grazie all'ascolto empatico. In una comunicazione interpersonale efficace, infatti, non basta soffermarsi solo su quello che si dice, bisogna saper andare oltre, dando adeguata rilevanza soprattutto al "come". 
Pertanto, l'empatia può essere considerata una forma strategica di comunicazione, con cui capire e decodificare i segnali deboli della mente e del cuore, gli stati d'animo più profondi e i pensieri nascosti. 


L'empatia riesce a creare una dimensione relazionale profonda e autentica, per niente scontata, in grado di avvicinare due interlocutori e di produrre effetti positivi sul piano della comprensione reciproca. L’empatia quindi è una competenza distintiva irrinunciabile per un counselor. 
Così quando si parla di empatia, è bene riflettere e parlarne come preziosa abilità sociale, come competenza distintiva di livello superiore, come strumento sofisticato e potente per un'efficace e positiva gestione dei rapporti interpersonali e della comunicazione. Qualcosa di utile a tutti indistintamente, da portare sempre con sé nella propria valigetta degli attrezzi per comunicare e vivere meglio!



giovedì 10 gennaio 2013

Perché scrivere un blog?


L’idea di scrivere il blog “Nei panni dell’altro” nasce in concomitanza con l’inizio della mia avventura da libera professionista... 

Nasce come sfida, come strumento per accompagnarmi lungo un nuovo percorso, come spazio per condividere le mie iniziative e le mie proposte.

Vorrei che “Nei panni dell’altro” fosse anche un luogo di confronto positivo e costruttivo: un angolo del web dove ci si possa esprimere liberaMENTE e creATTIVAMENTE. :-)

Suggerimenti, consigli, indicazioni saranno ben accetti! 
Quindi, aspetterò i vostri liberi e cre-attivi commenti e le vostre mail sul mio lavoro, le mie iniziative e sui miei post.

Di seguito, l’immagine del mio primo volantino per promuovere la mia nuova attività...